Un biglietto per la Kirghisia, solo andata.

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Cari miei della generazione perduta, ormai un sacco di gente (per lo più trentenne) è emigrata dall’Italia in cerca di nuove prospettive, che qui insomma si sa… sono quello che sono, cioè pressoché nulle.

E se anche a voi è scaduto l’ultimo contratto a termine, e se a fare il procacciatore d’affari proprio non vi ci vedete, e se di questo governo proprio non vi fidate (governo? Cioè… come.. in che senso?), e se siete in paranoia da 730 (meno mesi si lavora > più lavori si cambiano > più CUD ci sono > più tasse si pagano…. AIUTO!)… magari vi siete rotti e ve ne volete andare… si, ma andare dove? 

In GB piove, in America anche i bimbi di 5 anni ti sparano, in Australia ti mangiano gli squali… tranquilli, sappiate che sull’Himalaya esiste questo posto, che io ho scoperto solo qualche giorno fa,  un paese che personalmente non avevo mai trovato nemmeno nelle parole crociate: il Buthan.

Nel Buthan hanno questa cosa qui che si chiama FIL (Felicità Interna Lorda), che sarebbe una specie di PIL ma che non c’entra niente con i soldi. In pratica, lo sviluppo del paese dovrebbe essere finalizzato allo sviluppo non economico, ma del benessere spirituale e della felicità. Nella valutazione del FIL si considerano la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione e la ricchezza dei rapporti sociali dei cittadini buthanesi, che a quanto ho letto vivono si in uno dei paesi più poveri del mondo, ma sono contenti come se fosse Natale tutti i giorni.

Questa cosa, che piace tanto nientepopodimenoche al Dalai Lama in persona, a noi occidentali tutti ipad e governi ladri magari ci pare clamorosamente assurda, ma mi ha fatto ricordare di un libro che ho letto un po’ di anni fa e che stai un po’ a vedere è stato ispirato proprio da questi compagnoni feliciani del Buthan: Lettere dalla Kirghisia.

 

Dalle lettere di Silvano Agosti scopriamo sconcertati che in Kirghisia:

  • Si lavora 3 ore (ma stanno cercando di ridurle a 2), così la maggior parte delle ore del giorno viene dedicata al sonno, al cibo, alla creatività, alla vita, a se stessi. In questo modo le persone non hanno solo il necessario, ma anche IL TEMPO per vivere. 
  • Il concetto di “ferie” è insensato perché tutto è organizzato per festeggiare la vita ogni giorno. Perché non è possibile vivere solo il sabato, la domenica e una settimana all’anno.
  •  La politica è volontaria. Perché un deputato dal “volto ingessato dai privilegi” con “uno stipendio di 20000€ al mese non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa”.
  •  I bambini e i giovani non studiano, IMPARANO. Infatti lo studio obbligatorio svanisce con il tempo, ciò che si “impara” invece  è il vero sapere, ed è permanente. E lo fanno nei parchi, non chiusi in una scuola.
  •  I film sono proiettati in 10 diverse lingue, così i ragazzi ne parlano almeno 4 perché, come la loro lingua madre, nessuno gliele ha insegnate.
  • Chi vuol fare l’amore si appunta un fiore azzurro sul petto (così hanno sconfitto la prostituzione).
  • Anziché seppellire morti da arma da fuoco hanno seppellito le armi da fuoco.
  • Niente più esercito, burocrati, pubblicitari.
  • A 18 anni ti viene regalata una casa.
  • Tutti hanno un pasto gratis al giorno.
  • Si fanno ricerche sulle staminali.
  • Si pratica il car sharing.
  • L’essere umano deve saper: dormire, mangiare, lavorare, imparare, dare, creare, amare e fare l’amore, vedere quel velo di mistero che copre ogni cosa.

 Fermi lì, mollate le valigie legate con lo spago e rimettete via i passaporti: la Kirghisia non esiste, forse vi siete confusi con il  Kirghizistan  (kirg.  Кыргызстан) che è: uno Stato indipendente dell’Asia centrale. Confina con  Cina,  Kazakistan,  Tagikistan  e  Uzbekistan;  non ha sbocco al mare.*

Non esiste no, magari esistesse, e questo libro forse alla fine dei conti è molto molto naïf (e per i miei gusti anche troppo zen), però ha un grande pregio che forse deriva proprio da questa sua infantilità: ci fa riflettere sulla nostra vita, quella sociale e quella personale.

Ormai ci hanno economicamente  e lavorativamente stuprato in così tanti subdoli modi diversi e per così tanto tempo che ci sembra la normalità. Ciò he ne consegue è che abbiamo una visione distorta delle nostre vite e del modo in cui sentirle e viverle. Il caro Silvano qui ci mette in guardia sul lavoro coatto, sulla mediocrità culturale, sui sentimenti obbligatori anche della coppia, per cui gli uomini e le donne dovrebbero prima di prendere qualunque decisione raggiungere il livello di PERSONE, autonome economicamente, psicologicamente ed affettivamente così da donarsi la loro libertà e non la loro dipendenza (cito non alla lettera).

Io sono una di quelle sfiduciate croniche nei confronti della società, che sono convinta non potrà far altro che peggiorare, però leggere un librino così serve per ricordare (a me e a quelli pallosi come me) che magari la Kirghisia non può esistere a livello di società ma chi se ne frega! Chi ha detto che non può esistere almeno un po’ nelle nostre singole case e famiglie? 

E dopo questo slancio positivo, chiudo il libro, lo rimetto sullo scaffale e torno in me, fino alla prossima volta.

*Wikicit.

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A Leòn piace:

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Entrare in una stanza, scoreggiare, e uscire subito.
Morderti.
Abbaiare mentre si stira.
Darti poche leccate, ma buone.
Imparare cose nuove.
Addormentarsi spaparanzato addosso a te.
Farsi grattare sotto la coscia.
Trombare la mia amica Laura.
Prendere gli oggetti che ti sono caduti, o che sono in posti per te irraggiungibili.
Portare legnetti in casa.
Correre a casaccio ad una velocità assurda, come se non ci fosse un domani.
Saltare.
Arrivare per primo alla curva del sentiero, ma aspettarti finchè non arrivi.
Guardarti con le orecchie indietro e la testa chinata per farti tenerezza.
Fare la cacca in bilico su due zampe.
E farla sui posti verticali, vanno bene alberi, muretti o cespugli, anche se pieni di spine che bucano il culo, fa lo stesso.
Mostrarsi contrito quando lo sgridi.
Dormire sul suo divanetto, sulla schiena e con le zampe larghe.
Pulirsi per bene le zampe quando entra in casa.
Fare di corsa il giro della casa, prima di entrare.
Zampettare nel garage dei miei genitori.
Rincorrere la pallina e riportartela crollasse il mondo.
Partire prima che tu l’abbia lanciata.
Non vedere dove atterra e affidarsi al suo fiuto per ritrovarla.
Perdere la pallina, quindi.
Raggruppare greggi di pecore.
Fare la lotta con Stefano, e soccombere.
Ingobbirsi.
Fissarti, qualunque cosa tu faccia.
Inclinare la testa quando gli parli.
I bacini sul muso.
Quando si va fuori.
Con la forza del pensiero costringerti a passargli cibo da sotto il tavolo.
Obbedire.
Starnutire quando si emoziona.
Darti la zampa, anche quando non è richiesto, non si sa mai.
Accontentarti.
Stare in compagnia.
Cercare cose che hai nascosto.
Farla a spruzzo dopo una nuotata in mare.
Pisciare su tutti i pali della luce, tutti, nessuno escluso.
Salire le scale sei alla volta.
Pigiare la fronte contro la tua quando lo coccoli.
Seguirti come un’ombra dappertutto.
Camminare davanti a te guardandoti, anche se questo vuol dire sbattere contro tutti gli stipiti delle porte.
Guardarti immobile, finchè non ti svegli.
Portare cose da una stanza all’altra.
Drizzare il pelo con gli altri cani.
Spaventarsi.
Fare subito la pace quando è stato brontolato.
Fare da paciere quando le persone litigano, o anche solo alzano la voce.
Prenderti a musate la mano, fino a che non lo accarezzi.
Frignare.
Sognare di correre.

Individui da concerto

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Non sono mai stata una tipa da concerto. Mi infastidisce la calca di gente e non avere il minimo spazio vitale. Però i concerti mi piacciono quindi ci vado lo stesso. Ricordando con piacere quelli in cui avevo il mio metro quadro di spazio o addirittura la mia poltroncina in un teatro. Comunque sia ieri sera sono andata. E mentre me ne stavo lì contenta lottavo disperatamente con l’irritazione che mi provocava la gente. Fra una canzone e l’altra ho stilato la mia personale top five degli individui più irritanti da avere accanto ad un concerto, a metà serata la top five era già diventata una top ten. Eccola:

Al 10° posto:
I PASSEGGIATORI: Sono quei personaggi che devono “passare”. Ora io sarò anche afflitta da manie di persecuzione, ma non so per quale magnetico motivo vicino a me si crea sempre un corridoio. Quindi passo le serate a spostarmi per far passare i “passeggiatori”. Ma dove devono andare? Cosa devono fare di urgente? Sono ad un concerto, ma loro passano il tempo a camminare. Loro vanno, si spostano da un posto a un altro, non trovano pace, non sanno stare fermi. L’importante è il viaggio, non la meta. Ma loro, dove cazzo vanno?

Al 9° posto:
I CANTANTI: Di norma ce li hai sempre alle spalle, quindi non hai scampo. Loro sanno tutte le canzoni. Ma tutte le sanno. Non ce n’è una che non conoscono. E come se improvvisamente ci trovassimo tutti nella loro doccia e fossimo invisibili, loro cantano. Ma cantano forte. Urlano talmente tanto che non senti la voce del cantante. Per riassumere: se paghi il prezzo del biglietto, sappi che oltre al gruppo spalla, cè compreso anche il “cantante” di turno. Un affarone.

All’8° posto:
I CHIACCHIERONI: Dio ha inventato i pub e le serate al ristorante con gli amici. Eppure questa categoria di individui ha così tante cose da raccontare, così tanto da condividere con i propri amici, che a stare zitta, proprio non ce la fa. Un frastuono assordante, il cantante che canta, la batteria che rulla, la chitarra che suona e loro devono fare una fatica immane a parlare, ma fa lo stesso. Conversazioni di ore, urlate a volte anche a distanza di tre metri con te nel mezzo, e intanto si perdono tre quarti del concerto, ma hey! loro devono ciarlare come comari dal parrucchiere.

Al 7° posto:
GLI SPETTATORI MULTIMEDIALI: Loro il concerto se lo guarderanno poi con calma a casa. Pagano il biglietto solo per poterlo riprendere e fotografare. E via si tagghi chi può. Io c’ero, ma il concerto non l’ho visto, l’ho ripreso col telefonino, bello eh? Lo carico su You Tube, posto le foto su Facebook. Sono avanti. L’unico problema è che questi coglioni stanno 2 ore con i loro braccini alzati e il risultato è che anche te lo devi vedere dal quello schermettino del loro iphone di merda. Ammazzatevi.

Al 6° posto:
IL WATUSSO: E’ alto sei metri. Sgomiti, spingi, imprechi, e finalmente raggiungi una posizioni in cui per vedere almeno una parte del cantante non devi allungare il collo continuamente. Finalmente abbassi la guardia, ti rilassi felice di poterti godere il concerto. E’ quello il preciso momento in cui arriva il Watusso. E ti si piazza proprio davanti. E’ come quando arrivavi al cinema, prima delle multisale in discesa, sceglievi il posto ideale e ed eri il primo ad essere arrivato, perchè vedere bene è importante. Quando la sala era ormai piena, e la luce si spegneva… lo sentivi arrivare… da lontano. Cominciavi ad allarmarti perchè la tua coca nel bicchiere vibrava in un modo che ti ricordava Jurassic Park. E sapevi che sarebbe toccato a te non c’era scampo. Ed infatti, tek! Un’essere umano impietosamente gargantuesco ti si piazzava sulla poltroncina davanti. Alla tua, ovviamente, mentre i tuoi amici ti guardavano e ridacchiavano. Seriamente, posso solo immaginare quanto fosse spaventoso il mostro di Alien, perchè io, al cinema, ho solo visto la faccia spaventata di Sigourney Weaver. Ai concerti è lo stesso. Ma porca miseria! Ma non lo sai che sei alto? Non lo vedi che dietro di te si è creato un corridoio buio? Un po’ di rispetto! Mettiti infondo!! Ma Cristo Santo!

Al 5° posto:
I BALLERINI: gomitata nel fianco, ginocchiata, tacco infilato nel piede, culata, spinta, manata sulla testa. Ma loro devono ballare. E’ più forte di loro. Tarantolati incontrollabili. Ci fanno le coreografie. Gente cresciuta a pane e Amici di Maria di Filippi. Siete ridicoli, vi riprenderei e vi farei vedere: siete ridicoli. E rompete i coglioni.

Al 4° posto:
LE VIAGGIATRICI: sono quelle ragazze che immagino siano in partenza, perchè hanno delle borse che secondo me Ryanair non approverebbe come bagaglio a mano. Sono enormi, e cazzo, devono anche essere pesantissime. Ma che cavolo ti devi portare ad un concerto che durerà al massimo 90 minuti? Di cosa puoi aver bisogno in 90 minuti? Cosa c’hai là dentro? Cosa? COSA? E queste ragazzucole si muovono, si girano e si muovono ancora, in continuazione. Ruotano su loro stesse dio solo sa per quale motivo. E quella cazzo di valigia ti costringe ad arretrare e a spostarti ogni minuto. Maledette fashion victim distoc..

Al 3° posto:
LE COTONATE: sono quelle personaggie che hanno tanti capelli, ma tantissimi. Una marea. Generalmente ricci o peggio: mossi e pettinati. Si crea intorno a queste fanciulle d’altri tempi una cofana di capellini, ciuffi e ciuffetti che se sei dietro di loro ti rende impossibile una visione chiara per almeno 2 metri quadrati. Vedi il palco con un effetto di foto invecchiata che potrebbe anche essere tutto sommato piacevole se si esclude che devi fermarti a vomitare palle di pelo ogni 2 minuti. Legatevela quella indomita chioma. Eccheccazzo.

Al 2° posto:
IL FREDDOLOSO: le variazioni climatiche, come è tristemente noto, in questi pazzi tempi, possono essere improvvise e coglierti di sorpresa. Ci sono dei soggetti che semplicemente hanno paura di aver freddo. Lo sai che stai andando ad un concerto, e si sa com’è… l’atmosfera si riscalda, siamo tutti pigiati come una massa umana informe, possiamo dire insomma con moderata certezza, che soltanto chi rimane ai bordi, è a rischio. Il freddoloso viene ad un concerto così abbigliato: maglia a maniche lunghe, t-shirt sopra effetto Sheldon, felpa imbottita, giacchettone 69,90€ sezione “trekking uomo” di Decathlon imbottito antivento e impermeabile (non si sa mai che piovesse anche!), con il bonus del berretto in testa. Come è facilmente intuibile questi individui cominciano a grondare sudore dopo circa 3 minuti, ma ancora non si spogliano. Resistono, perchè… come era altrettanto facilmente intuibile… dove cazzo li possono appoggiare tutti quegli indumenti? Sono ad un concerto. Quando ormai non resistono più è troppo tardi, sarebbe troppo imbarazzante spogliarsi, perchè devono avere lo stesso odore che ho sempre immaginato avesse Sloth. Grazie a Dio il super giacchettone non traspira e almeno il naso è salvo. A questo punto possono succedere due cose: i più timidi tornano sui loro passi, e per non abbandonare il giacchettone passano il resto della serata fuori, i più impavidi invece cominciano a svestirsi e dio ce ne scampi. Via il giacchettone messo fra le gambe, via la felpa imbottita legata in vita, e a questo punto che fare? Mi sono messo la maglia a maniche lunghe SOTTO la t-shirt! Ma si! Via tutto! Petto nudo! Alè! E si rimettono la t-shirt ormai zuppa di tanfante sudore addosso. E si legano in vita anche la maglia e infine il giacchettone. Raggiungendo la circonferenza di un pianeta.

Al 1° posto, e questa è nuova, non mi era mai capitata prima:
IL BOMBETTARO: capodanno si avvicina e il bombettaro ha già fatto scorta, per iniziare, ci auguriamo, l’anno nuovo con le tre dita che gli rimarranno. La novità dell’autunno 2011 è che il bombettaro viene a scoppiare i miniciccioli al concerto. Sei un genio del divertimento. Un mago dell’intrattenimento. Sei lì che ti guardi il tuo concerto e all’improvviso: PAM! Il bombettaro ha fatto esplodere un minicicciolo. L’esilarante effetto sorpresa. Un odore di zolfo ci invade. E tutti pensano: evvai! è arrivato l’Anticristo! No. E’ stato quello zuzzurellone del bombettaro. Una povera ragazzetta vicino a me si era accesa un cicchino (evidentemente la sigaretta con la X rossa sopra per lei voleva dire “questo è il punto dove scavare, mentre fumi”), ha guardato allarmata il suo ragazzetto e ha esclamato: “Amore! La mia sigaretta puzza di zolfo!”.

In my Place

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Non so se esiste un nome per quelli come me. Quelli che risentono talmente tanto dell’ambiente circostante da esserne influenzati a tal punto da stare male se posizionati in un posto che ritengono brutto. Io sono così. E non è facile, essere così.
Per esempio quella della pietra, del legno e del verde per me è una vera e propria ossessione.
Io non sto per niente bene, anzi soffro proprio se mi trovo in un posto minimale, in un posto brutto e lasciato al degrado, bianco, e con troppo acciaio o cemento. Più una cosa è vicina alla natura, vecchia, e usurata con garbo come solo il tempo e l’ambiente sanno fare, più io ne sono affascinata.
Mi siedo, chiudo gli occhi e vedo una casa di pietra, con l’edera che si arrampica sui muri, sento l’odore del muschio, vedo le casette per uccelli sugli alberi nel giardino, percepisco l’aria piena di acqua che mi rinfresca e mi rigenera lo spirito e mi fa sorgere pensieri nuovi, sento l’antico, il semplice, il disordine confortevole. E. Sto. Bene.
Toglietemi le fredde mattonelle, eliminate il parquet innaturalmente tirato a lucido, riducete a trucioli i mobili e le porte laccate, fate sparire qualsiasi cosa sia di acciaio, colorate gli spogli muri bianchi, donate a istituti di carità gli squadrati divani dell’ikea, scalpellinate il marmo finchè non ne resta mezza briciola, buttate via i soprammobili, sono orrendi.
Datemi per favore legno grezzo, il cotto, tappeti, vecchi divani un po’ sfatti, stendetemi tappeti di lana, colorate i muri, mettete calde tende alle finestre, spargete ovunque libri e se volete proprio farmi felice costruitemi un camino e accendete il fuoco.
Mettete su il caffè. Mettete i biscotti nel forno. Datemi un libro, aprite le finestre per far entrare l’odore di piante bagnate e di legna bruciata in lontananza.
E mi troverò ad abitare un posto molto simile a quello che c’è dentro.

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