LA MIA EREDITA’ GENETICA

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Questa è la vera storia della zia Corinna.
Corinna era la sorella del babbo della mia nonna.

Siamo a Livorno. Inizio Novecento. La zia Corinna era una ragazza di 18 anni, che lavorava il corallo, per una società di Ebrei livornesi. Conobbe un ragazzo e se ne innamorò. La famiglia di Corinna (che poi era anche la mia) non c’aveva un soldo e andava avanti a pane e cipolle. Ma a lei che gliene fregava? Era bella e innamorata cotta. Non la sentiva nemmeno la fame. E le cipolle non le avrebbe mangiate comunque per via dei baci. Quindi non aveva problemi e credo un’invidiabile taglia 40. Che per quei tempi forse non era proprio il massimo. Si, Corinna doveva essere proprio bella, ma non solo bella…come dice la mia nonna: “Era proprio ‘na bella figliola! Ni volevano tutti bene…soprattutto l’omini sai! Vando passava…eh si giravano tutti per guardanni ‘r culo! Era…sai ‘ome si dice? Una bimba socievole…una civettina…ma era una figliola per bene sai! Li faceva guardà e basta eh!”. Insomma…per tradurla dal livornese della mia nonna: era una bella ragazza sensuale e aperta che però, da buona bimba d’inizio secolo, non la dava via.
In ogni caso questa storia comincia così. Una bella ragazza di una bella foto color seppia innamorata di un ragazzo. Quelli erano tempi duri gente…niente soldi, niente camere da letto, niente cessi, niente di niente insomma. Così, quando l’amore di Corinna decise di andare a cercare fortuna all’estero, lei decise di seguirlo. E visto che la famiglia di lei non se la passava tanto bene, decise di andare in Francia con i due futuri sposi. Ma l’amore di Corinna ad un certo punto non si accontentò più di starla a guardare. Le disse che l’amava e che l’avrebbe sposata presto, ad ogni costo. E lei…beh…si… sarà stata l’atmosfera francese, o sarà stato il vino, o che ne so…comunque…al diavolo i bustini, fece l’amore con lui.
E sarebbe stato tutto perfetto se il signore in questione, il cui nome si è perso fra i numerosi ricordi della mia nonna, qualche giorno dopo le disse: “E’ stato bello, ma…ecco, forse hai frainteso le mie intenzioni…io fra poco sposerò un’altra donna. Mi dispiace. E comunque grazie, mi è piaciuto davvero. Ti chiamo eh!”.
E Corinna si ritrovò così. Con il cuore e l’imene distrutti.
Così, una notte seguì il suo amore perduto per le vie di Marsiglia. E lo fermò in un vicolo. E credo gli abbia detto che lo amava. Credo gli abbia detto che era uno stronzo. Non so che cosa gli abbia detto. Ma quello che so è che Corinna si tolse il fermaglio che teneva raccolti i suoi capelli neri, glielo piantò in un polmone, e corse via.
Confessò il delitto alla famiglia e la famiglia decise che era meglio rimandarla in Italia. Così, con l’aiuto del fratello, il mio bisnonno, Corinna fu vestita da uomo e rispedita a casa. Tentò di nascondersi, di scappare, ma la beccarono ugualmente. Fu arrestata e condannata. A quel tempo il suo delitto era considerato un “delitto d’onore”…si, insomma…mi avevi detto che mi amavi, io ti ho creduto, ti ho dato tutto, e tu mi hai abbandonato. Ucciderti mi sembra il minimo insomma. Così la zia Corinna rimase in prigione solo per sei mesi. Quando uscì di prigione era ormai una donna disonorata e svergognata. Nessun uomo l’avrebbe più voluta sposare. Ma le cose non andarono così. Conobbe un uomo siciliano, che la sposò. Ed ebbero due figli: Pietro e Beppe.
A questo punto della storia io guardo felice la mia nonna e le dico: “Che bello! Allora alla fine è andato tutto bene! Alla fine ha incontrato l’amore vero! Eh nonna?”. Ma la mia nonna non perdona e, dall’alto dei suoi 84 anni, mi ghiaccia con la sua spietata descrizione del Siculo: “Macchè! Quello lì era uno stronzo! Gliene fece passà di tutti i’olori povera bimba!”. E questa storia non finisce con un vissero felici e contenti. Non finisce proprio con un “vissero”. Figuriamoci con un “felici e contenti”. No. Corinna morì a venticinque anni mentre faceva la spesa al mercato. Morì di cuore, ovviamente. E di che altro avrebbe potuto morire?
E ci sono cose che non seppe mai. Non seppe che fine fece il marito siculo stronzo, e questo non lo sappiamo neanche noi. Non seppe che suo figlio Pietro divenne un barbiere. Che un giorno smise di tagliare i capelli, abassò la serranda del negozio e cantando Figaro qua, Figaro là come un invasato, si tagliò le vene con un rasoio, schizzando allegramente di sangue i suoi poveri clienti. Che fu rinchiuso, con camicia di forza e tutto, al manicomio di Volterra e che quando ne uscì, morì. Non seppe mai che l’altro suo figlio, Beppe, divenne un delinquente, un ladro contrabbandiere di alcool. Che un giorno disse che andava a comprare le sigarette e che invece nessuno lo vide più. Era scappato in Francia. L’ultima volta che si fece vivo fu nel ’79, pochi giorni prima del matrimonio dei miei genitori. Regalò dei soldi alla mia mamma e fuggì di nuovo dalla polizia. E non se ne è saputo più nulla.
E la zia Corinna non seppe mai che la sua sfortunata storia venne raccontata per anni in uno stornello livornese. E che quando il mio bisnonno la sentiva cantare scoppiava a piangere. E chissà, magari se Livorno era Dublino, anche lei avrebbe avuto la sua statua all’angolo di una strada. Ma Livorno non è Dublino, le ballate non si cantano nei pub, e le storie si dimenticano.
E io non posso fare a meno di riflettere sul fatto che fra le donne della mia famiglia si contano una serie di vedovanze, abbandoni, divorzi, separazioni, e solitudini, che beh…è un bel fardello genetico da portarsi dentro. Certo la mia mamma, in qualche modo, ha spezzato questa catena, ma…sarà come le malattie ereditarie, che si dice a volte saltino una generazione?

CAN YOU FEEL MY LOVE BUZZ?

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19 Giugno 2007

Ok. Domani mattina ho il turno delle cinque, questo significa che mi devo svegliare alle quattro. Va bene. Lo accetto. Prima o poi tocca a tutti. Quindi faccio due calcoli e decido di andare aletto alle dieci. E’ quasi mezzanotte e sono ancora sveglia. Perché secondo voi?
Zanzare.
Spengo la luce. Cerco di addormentarmi e vai con il bzz. Diretto nell’orecchio destro. Scuoto la testa. Tre secondi e di nuovo. Bzz. Nel tempo che accendo la luce, mi ficco gli occhiali, la malefica creatura si è dileguata. Ovvio.
Ci riprovo. Mi addormento. Mi ninno una ninnananna. Ci sono quasi e bzz. Stessa storia.
Decido che è tempo di guerra.
Strategia numero uno. Setaccio la camera. Niente.
Strategia numero due. Faccio da esca. Lascio la luce accesa, mi metto gli occhiali, mi sdraio, fingo di dormire, ma in realtà aspetto, come chuck norris. La voglio fare fuori. 5 minuti, niente. E’ furba la stronza. Se la luce è accesa non si fa vedere.
Ok. Strategia numero tre. Lascio la luce accesa, mi metto la mascherina antiluce sugli occhi e ciao. Vorrà dire che dormirò con la luce accesa e buonanotte. Dieci minuti dopo eccola. Bzz. In un lampo mi tolgo la mascherina, ma poca miseria sono senza occhiali e non la vedo! Maledetta viscida bastarda!! Io ti faccio secca!!!!
Ok. Hai vinto. Mi tolgo le lenzuola di dosso….ti lascio tutto il mio corpo…è tuo..pigliatelo…facci cosa ti pare…ma stai lontano dalla mia testa! Lascia in pace la mia testa. Poi penso che questa non è la prima volta che penso una cosa del genere e allora comincio a rifletterci e allora si che mi giro e mi rigiro senza dormire.
Vittima di questo pensiero ci rinuncio. Abbandono la paranoia della zanzara e mi crogiolo nella mia buzz autodistruttiva buzz ossessione che non smette di ronzarmi in testa. Accendo definitivamente la luce, mi rimetto gli occhiali e faccio per prendere il libro in mano. E…eccola lì. La vendetta è mia. Devo far del male. La spiaccico sul muro…ed eccolo lì. Il mio di sangue. Non il suo. Maledetta troia.