Campanelli biologici

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Io e i figli, sviluppo della mia opinione in 3 tappe dai 10 ai 29 anni:

Quando ero piccola dicevo che non volevo figli. Quando ero adolescente dicevo che un aborto non era poi una gran tragedia. Quando sono stata un po’ più grande poi non ci pensavo nemmeno a fare un bambino. Persona sbagliata e momento sbagliato.

Cosa penso dei bambini? Senza peli sulla lingua, penso questo:
Penso che i bambini siano noiosi, una spina nel fianco, un impegno troppo grande. Li trovo irritanti e molesti. Quando vado in un posto dove arriva una famigliola e tempo 10 minuti il pargolo si mette a fare una bizza giuro vorrei alzarmi dargli una manata e andarmene. Sono un mostro lo so. Quando sento la gente che parla dei propri figli sento l’impulso di sbuffare, allargare le braccia, alzare gli occhi al cielo e urlare CHE PALLE! Cerco di evitare ogni tipo di contatto con figli altrui perché passo dal disinteresse totale alla paura. Se incontro qualcuno che conosco per strada che ha un bambino piccolo non riesco a fare come quelli che parlano con voci buffe non so di cosa col pargolo in questione. Nella migliore delle ipotesi io riesco a tirare fuori un distaccato “bellino”. Non mi piacciono sinceramente i bambini, non lo dico per dire. Non parlano di niente, non capisco cosa dicono quando parlano. Cosa ci fai con un bambino? Nulla. Penso che avere un figlio sia una condanna, un peso. Notti insonni, tette afflosciate, niente più viaggi avventurosi, e se volessi andare a vivere da un’altra parte? E se volessi licenziarmi? Non puoi più mangiare all’ora che vuoi, ti devi organizzare sulle sue esigenze, mentre leggi o guardi un film ti rompe le palle, ti devi prendere cura di lui e inventarti cose da fargli fare. Un incubo. Per non parlare di quel  sacco di soldi spesi per un essere che ti rimarrà appiccicato alle sottane dio solo sa fino a quando.

Matematica:

Ho quasi 33 anni. Quando mia mamma ha avuto me aveva 25 anni. Ora ne ha 57. Fra me e lei c’è un abisso, davvero. Sarà stata la vita diversa che abbiamo fatto, ma c’è un abisso. La prima volta che mi sono venute le mestruazioni avevo 12 anni, quindi ho avuto le mestruazioni fino ad ora 252 volte. Ciò significa che il mio utero si è preparato ad una potenziale gravidanza per 252 volte. Vado per la 253esima.Nell’arco della sua vita una donna produce 2 milioni di ovuli. Cito: “I ricercatori inglesi della St.Andrews University sostengono che dopo i 30 anni l’88% degli ovuli è perso per sempre, e con loro buona parte delle possibilità di restare incinte. Con il 40mo compleanno, poi, la situazione precipita ulteriormente e ogni donna conserva appena il 3 per cento degli oltre due milioni di ovuli di cui è dotata alla nascita. Considerando che di quei due milioni di ovuli di partenza solo circa 450 riescono a giungere a piena maturazione nell’arco della vita di una donna, è chiaro che, superati i trent’anni, la riduzione drastica del numero di ovuli ha effetti amplificati sulla possibilità di avere ancora cellule uovo pronte al concepimento”

Anticoncezionali:

Mi ricordo che all’inizio della nostra relazione eravamo terrorizzati che rimanessi incinta. Non potevo prendere la pillola perché mi provoca disturbi gravi, quindi la nostra paura era fondata. Pisciavo continuamente su uno di quei test che non sai mai se la lineetta deve essere in un modo o nell’altro e ti fanno prendere un colpo. Mai successo niente per fortuna. Poi 2 anni fa il ginecologo fra crampi e dolori mi ha ficcato nella pancia la spirale, che è una specie di piccola T che impedisce all’uovo fecondato di svilupparsi nell’utero, perché dentro c’è già lei. Questo in pratica significa che negli ultimi 24 mesi dentro di me sono stati fecondati un numero imprecisato di ovuli che sono riusciti a sopravvivere non so se almeno per qualche ora. Ora io lo so che questo non vuol dire niente, che non erano niente. Però ogni tanto mi sorprendo a pensare che in realtà erano potenziali persone, ognuna che avrebbe avuto tratti somatici particolari, un carattere suo, magari gli occhi dell’amore mio e la mia bocca. Un pensiero che ogni volta mi apre una voragine così inaspettatamente profonda dentro, che lo ricaccio indietro all’istante.

“Young Adult” – SPOILER ALERT

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Oggi ho visto l’ultimo film Reitman-Cody… Young Adult.
Interessante scelta filmistica la mia, visto che oggi…sola, perchè la mià metà oscura è fuori città, una volta tornata dal lavoro mi sono dedicata ad elevate attività quali:
impigiamento, struccamento, sonnellino di 4 ore, film, cena a base di pringles e coca cola, e caterve di cicchini fumati come se non ci fosse un domani, rigorosamente (so che mi amerà di più per la mia onestà) in casa, laddove è rigorosamente vietato.
In pratica ho attraversato uno di quei momenti che sono sempre presenti nella mia vita, in cui sembro una sedicenne che improvvisamente si ritrova a vivere da sola e sa che il giorno dopo tornerà alla normalità, e si sfoga. Atto premeditato, studiato, eseguito.
Il film mi è sembrato geniale (non ai livelli di Juno, ma quasi) per tutta la prima metà… pensavo: “Ma guarda bella Diablo Cody…. pensavo di essere l’unica e invece anche Charlize Theron è così!”. Ovviamente io sono lungi dall’essere come Charlize Theron, anche al peggio della sua forma, e il film è portato all’esasperazione perchè lei di questo stile ne ha fatto una forma di vita estrema… ma la sensazione di fondo c’era. Ora l’intoppo dove stava? Stava nel fatto che lei era flippata per un trauma subito anni prima, che in qualche modo le aveva stoppato l’evoluzione dell’esistenza. Ma… io l’intoppo traumatico, cazzo, non ce l’ho avuto! C’è solo, dentro di me… questa giovane, inspiegabilmente incazzata col mondo, disinteressata, immobile, menefreghista ragazzina che vive i suoi momenti di libertà incurante del futuro, e che salta fuori a tradimento. Un film su questo l’avrei senz’altro trovato più interessante, senza traumi, solo… così.

Equilibri sbilanciati

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Ogni inizio d’anno nuovo entro in una fase di intorpidimento mentale paranoico. Fate conto di essere nello strettissimo cratere di un vulcano, ma al contrario. Con il magma che vi ribolle sotto i piedi, ma niente altro che nude rocce ignee intorno a voi. Va da sé che non potete né stare fermi dove siete, né cercare di andarvene in alcun modo.
Stati mentali senz’altro gonfiati dagli inevitabili bilanci e propositi portati da ogni sedicente “nuovo inizio”. A complicare l’allegro umore: il mio compleanno, che sta in agguato proprio alla fine di questo mese di Giano, maligna divinità che con le sue due facce, una rivolta indietro e avanti, mi squilibra.

Ho sempre avuto le idee perfettamente chiare su cosa non volevo essere. Di questo devo rendermene merito. Per il resto, anno dopo anno, mi scontro con la durissima consapevolezza di essere ad un punto morto. Sempre più morto mano a mano che invecchio. Un completo, assoluto disastro di persona.
Un cervello che non mi fa accontentare mai di niente, lasciato in balia di sé stesso senza mappa né bussola né direzione, combinato con la mia innata pigrizia, la mia indolenza e svogliatezza e il gioco è fatto. Un’ameba in paranoia tendente al lamentio infinito. Se non potete aiutarmi, lasciatemi nel mio mondo. Via tutti. Ma da quando siete andati via mi sento sola e triste. Tornate! E si ricomincia.

Quasi 32 anni e ancora non ho capito alcune lezioni fondamentali della vita.

Che non serve lamentarsi se poi non si fa niente.
Vero, ragionamento che non fa una piega. Peccato che io amo lamentarmi e amo non fare un cazzo. Come la mettiamo?

Che non si può non volere un posto fisso, e poi lamentarsi di rimanere senza lavoro.
Problema per ora inesistente in effetti, dato che i posti fissi capitano sempre agli altri. Però su questo una cosa l’ho capita: rimanere per un lungo periodo senza lavorare mi manda in crac il cervello. Questo spiegherebbe perchè sono qui ora.
D’altra parte fare lo stesso lavoro fino alla pensione sarebbe equiparabile dal mio punto di vista ad un lento suicidio. Altro problema inesistente al momento. La pensione. Una roba tipo… la guerra nucleare. Ce ne preoccuperemo quando sarà il momento.

Che bisognerebbe ogni tanto fare qualcosa che ci fa paura.
Sacrosanto. Il problema è che se una cosa ti fa paura, e la paura non è una sensazione che ti piace, perchè quella cosa la dovresti fare? Illogico.

Che non bisognerebbe perdere troppo tempo a pensare di fare una cosa, perchè la nostra testa è bravissima a trovare validi motivi per non farla, portandoci alla fine a non farne di nulla, e rimanere dove siamo.
Vero. E’ però altrettanto vero che non è sempre così. Basta pensare a cose come il suicidio, il troppo bere o la droga pesante.
Qui abbiamo bisogno di principi sempre validi, signore e signori. Dichiaro pertanto nulla la lezione di vita sopracitata.

La verità è che tutto è vero, ma anche il contrario di tutto. E’ un macello.
Così non solo sento che le mie potenziali decisioni sono affossate e bloccate in partenza dalla realtà di fuori, che non è come quella dentro, ma mi sento anche sola in questo.

Forse mi vengono questi pensieri perchè mi stanno per venire mestruazioni, non lo so. Forse perchè mi ricordano che il ciclo doloroso e fastidioso a cui mi sottopone il mio corpo ogni mese da vent’anni anche questa volta è stata tutta fatica sprecata.

“La giornata era finita – un giorno tra tutti i miei giorni. Domani ce ne sarebbe stata un’altra e io ero giovane.”

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“Ogni tanto sui giornali, sulle riviste e nelle biografie dedicate alla mia vita trovo educatamente formulata l’idea che feci il vagabondo per studiare sociologia. E’ gentile e premuroso da parte dei biografi, ma è sbagliato. Feci il vagabondo, beh, a causa della vita che era in me, della bramosia di viaggiare che avevo nel sangue e che non mi concedeva di stare fermo. La sociologia è stata una scusa, è venuta dopo, allo stesso modo in cui ti trovi la pelle bagnata dopo un’immersione. Io andai sulla strada perchè non potevo starci lontano; perchè in tasca non avevo i soldi per il biglietto del treno; perchè ero fatto in maniera da non poter lavorare tutta la vita allo stesso turno; perchè, beh, ma semplicemente perchè era più facile che non farlo.”

Chi scrive ovviamente non sono io. Chi scrive è Jack London. Io non avrei potuto. Io se mi fossi messa a rincorrere un treno merci in corsa per salirci al volo sarei subito finita sulle rotaie.
Leggere Jack London è come prendere un cucchiaino e scavarti lentamente un lungo tunnel fino a meandri che sapevi essere lì, ma mica più di tanto. E una volta arrivato infondo sorprendere una vocina accquattata che dice: “Ops, mi hai scovato! Beh, ce ne hai messo di tempo!”.

Davanti a casa nostra c’è un ruscelletto, che d’estate si secca e diventa un villaggio vacanze per rane, ranocchi e rospi, che passano le nottate estive a gracchiare del più e del meno. La stradina dove si abita è chiusa e quindi non passa quasi mai nulla e nessuno. Beh qualche tempo fa stavo in giardino, seduta sugli scalini di casa, saranno state circa le undici di sera, è venuto il cane e mi si è seduto accanto. Io lo stavo accarezzando così, pensando ai fatti miei. Ad un certo punto gli tenevo la mano fra la spalla e la sua pancina pelosa e… ho sentito il suo respiro e il suo cuore, e allora l’ho guardato. Se ne stava lì tranquillo, fermo, ad annusare gli svariati odori portati nell’aria, e viveva. E l’ho visto non come il mio adorabile cagnetto giocherellone e pazzo di sempre, no, l’ho visto per quello che è: un animale. Ho “sentito” la sua natura. Ho avuto un secondo d’illuminazione in cui ho sentito che le cose che ci sembrano importanti hanno un così scarso valore nell’ordine naturale delle cose da rasentare praticamente lo zero.
Siamo il parto di una madre che ha in sè talmente tante sovrastrutture create artificialmente da non essere più nemmeno vagamente riconoscibile come donna. E siamo talmente tanto attaccati a queste sovrastrutture da non riuscire neanche a godere del bello che l’essere umano è riuscito a creare.
Siamo così abituati a vivere in questa artificialità da non vedere neanche più negli hamburger al supermercato degli animali, qualcosa che era più legato alla natura di quanto noi potremmo ormai forse più essere. Qualcosa che solo per questo non si guadagnava la grazia di essere tolto dalla nostra catena alimentare, quello si sarebbe innaturale, ma il diritto di essere trattato con rispetto quello si, se lo guadagnava tutto.
La consapevolezza di essere in un certo modo ti porta per forza di cose, ad un certo punto, a fare un bilancio di quello che per te è importante.
Poi, da qui ad eliminare quello che non lo è, il passo è breve, ma infinitamente lungo.
Ho vissuto per un anno con la maggior parte della mia roba dentro a scatoloni. Quando ho aperto quegli scatoloni vi ho trovato dentro una serie di cose di cui pensavo sinceramente di non poter fare a meno, disposte con cura per essere tirate fuori per prime. Le scatole le ho richiuse con il loro importantissimo contenuto e verranno presto gettate via. Non ne avevo mai avuto bisogno, solo che non lo sapevo.
Mi chiedo di quante e quali cose ci siamo fatti carico perchè la nostra sovrastrutturata madre ci aveva insegnato a ritenerle fondamentali.
Quanto tempo, spazio, energia e soprattutto denaro ci stanno costando e ci costeranno? La cosa buffa è che crescendo sembra che occupino sempre più spazio, e che costino sempre di più.
Poi lo guardo negli occhi e ho la strana sensazione che quello di cui abbiamo bisogno in realtà sia molto più grande di noi e che anzi ci contenga, che ce lo abbiamo già o che sia a portata di mano, e che… sia gratuito, o quanto meno che abbia un prezzo maledettamente abbordabile!

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