Le partenze. Quando sei te che parti lo sopporti, il distacco dalle persone a cui vuoi bene, ma quando sono gli altri che partono diventa difficile. Un po’ perchè a una persona le vuoi bene, un po’ perchè sai che se domani c’hai una paturnia questa persona non sarà lì fisicamente per te, ci sarà comunque, certo, ma se hai bisogno di un abbraccio, non c’è… e poi perchè, cazzo, te rimani dove sei, e anche questo te le fa girare.
Io ho cominciato ad avere a che fare con le separazioni da partenze un paio d’anni fa.
La prima volta, ero io che me ne andavo, quindi come ho detto, stavo bene. Mi ricordo che tutti i miei più cari amici erano intorno a me, e io li baciai tutti, con un bacino sulla bocca. Affetto puro. Ero felice e triste allo stesso tempo. Se ci ripenso ora mi viene anche da ridere, visto che a un anno da quel giorno un paio di questi me lo misero in quel posto senza rimorsi. Falsi ipocriti. Ma questa è un’altra storia. La sera che salutai il mio migliore amico invece non gli dissi che quella era la nostra ultima sera, e che ci saremmo rivisti dopo un bel po’ di mesi. Così ce ne andammo al cinema, come sempre, come una sera normale. Poi mi ricordo che mi rimproverò di non averglielo detto “se lo sapevo non si andava mica al cinema, avremmo fatto un’altra cosa” mi disse. Ma quando io gli chiesi che cosa avremmo fatto, lui non disse niente. E io allora ebbi la conferma che andarsene era la cosa migliore da fare. E fu così, da quel punto di vista almeno.
Poi sono gli altri nella mia vita che hanno cominciato a partire.
Ci sono tre partenze in particolare che mi ricordo come fosse ieri e, se ci penso, sento la stessa muta malinconica disperazione che ho provato in quei momenti.

La prima è stata quella della mia amica Carlota.
Andai a casa sua quel pomeriggio, quella casa che sentivo anche un po’ mia visto che l’avevo trovata io. Lei stava seduta su una delle sue valigie, nel corridoio, per terra, con la sua immancabile sigaretta in mano. Piangeva. Poi mi vide e si mise a ridere, e anch’io. L’accompagnai alla fermata del bus per l’aeroporto. Un paio di settimane prima eravamo scese da quello stesso bus, su quello stesso ponte, di ritorno da Dublino. Era notte e c’erano i fuochi d’artificio sul castello. Nessuno parlava quella notte, si sapeva che di lì a poco avremmo dovuto separarci, che avremmo dovuto tornare nel grigiore delle nostre città. E su quello stesso ponte la vidi andare via. Mi guardava dal finestrino e io la salutavo. Poi l’autobus partì, girò l’angolo ed io mi sentì sola. Non ci siamo ancora riviste da quel giorno, eppure, l’ho sempre sentita molto più vicina di gente che fisicamente vicina a me c’era.

La mia seconda triste separazione è stata quella con il mio amico Nacho. Lui ci proibì di andarlo a salutare alla stazione dell’autobus. Forse perchè eravamo un po’ tutti provati da queste partenze stappalacrime. Ma noi ci andammo comunque. Lo trovammo in fila, con il biglietto in una mano e la valigia in un’altra. Quando ci vide si mise a ridere, lo sapeva che non gli avremmo dato ascolto. Lo abbracciai, gli ficcai in mano una lettera che gli avevo scritto e basta. Non avevo da aggiungere altro, avevo scritto già tutto e lui già sapeva la stima e l’affetto che provavo per lui. Mentre me ne andavo mi voltai e lo vidi piangere come un bambino. Strizzai gli occhi e me ne andai. Una volta fuori, mezz’ora dopo, mentre mi guardavo le converse che camminavano, venne tutto fuori. Quando l’ho rivisto, un anno e mezzo dopo, qualche mese fa, era come se la sera prima fossimo stati al pub insieme. Sa più cose lui di me della gente che mi circonda, forse perchè scrivere le cose anzichè dirle è più facile, o forse perchè è più difficile che una persona lontana ti possa ferire, non lo so.

La mia più dolorosa partenza in assoluto è stato il mio amico Tony.
La sua partenza si divide in due parti e mezzo.
La prima risale all’Agosto del 2006. Quella sera eravano fuori a festeggiare il compleanno di una nostra amica. Io avevo bevuto il mio equivalente in litri di Vodka e Coca, quindi già non ero messa benissimo. Quando arrivò il momento di salutarsi mi ricordo che c’era Smells like teen spirit nel locale, buffo pensai, visto che la prima volta che c’eravamo incontrati c’era un’altra canzone dei Nirvana, You know you’re right. Comunque, quello che per me in quel momento era vissuto come un addio definitivo non fu esattamente come uno di quegli addii da film, anzi, mi fece venire il giramento di palle. Un mono addio. Abbraccio, bacetto e ciao. Poi lui, arrivato infondo alla strada si voltò, io mi voltai, un attimo e poi sparì. Pensavo che non l’avrei più rivisto, e quella notte non dormi un granchè.
Invece ci siamo rivisti nel Gennaio del 2007. Sono andata a trovarlo io. E anche lì non fu proprio un incontro hollywoodiano, anzi, finì con me tre giorni dopo, da sola sul solito ponte con la mia valigia alle tre di notte, in lacrime, spersa, che aspettavo il bus.
Il secondo rincontro invece fu bello. Maggio 2007, venne lui stavolta. E contro ogni previsione, fu piacevole. Quindi l’addio fu ancora peggiore. Uno di quelli definitivi, mi sa. Quella mattina dormiva sul mio divano, lo svegliai, è tardi, dobbiamo andare. Lo accompagnai io all’eroporto. Una cosa da non fare mai. Quando scese di macchina, io feci quella fredda a e distaccata e ripartii a razzo, ma dovetti accostare. Mentre Whistles the wind dei Flogging Molly suonava nella mia macchina io cercavo di ricominciare a respirare. Ma mi ci volle un po’ per riprendermi.

Le partenze… vedere qualcuno a cui ti senti legata che se ne va, e non sai se, o quando vi rivedrete. Uno non ci fa mai l’abitudine alle partenze. Perchè nel momento che vedi un amic@ che sta andando via, ti torna alla mente tutto. E allora ci sono tante cose che vuoi dire, ti maledici di tutte le sere che magari eri stanca e non sei uscita, ti sembra di non aver mai dato o fatto o detto abbastanza.
La vita è così, si sa, gente che va, gente che viene, gente che rimane.
Gente che resta con te, anche se non c’è.