“La giornata era finita – un giorno tra tutti i miei giorni. Domani ce ne sarebbe stata un’altra e io ero giovane.”

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“Ogni tanto sui giornali, sulle riviste e nelle biografie dedicate alla mia vita trovo educatamente formulata l’idea che feci il vagabondo per studiare sociologia. E’ gentile e premuroso da parte dei biografi, ma è sbagliato. Feci il vagabondo, beh, a causa della vita che era in me, della bramosia di viaggiare che avevo nel sangue e che non mi concedeva di stare fermo. La sociologia è stata una scusa, è venuta dopo, allo stesso modo in cui ti trovi la pelle bagnata dopo un’immersione. Io andai sulla strada perchè non potevo starci lontano; perchè in tasca non avevo i soldi per il biglietto del treno; perchè ero fatto in maniera da non poter lavorare tutta la vita allo stesso turno; perchè, beh, ma semplicemente perchè era più facile che non farlo.”

Chi scrive ovviamente non sono io. Chi scrive è Jack London. Io non avrei potuto. Io se mi fossi messa a rincorrere un treno merci in corsa per salirci al volo sarei subito finita sulle rotaie.
Leggere Jack London è come prendere un cucchiaino e scavarti lentamente un lungo tunnel fino a meandri che sapevi essere lì, ma mica più di tanto. E una volta arrivato infondo sorprendere una vocina accquattata che dice: “Ops, mi hai scovato! Beh, ce ne hai messo di tempo!”.

Davanti a casa nostra c’è un ruscelletto, che d’estate si secca e diventa un villaggio vacanze per rane, ranocchi e rospi, che passano le nottate estive a gracchiare del più e del meno. La stradina dove si abita è chiusa e quindi non passa quasi mai nulla e nessuno. Beh qualche tempo fa stavo in giardino, seduta sugli scalini di casa, saranno state circa le undici di sera, è venuto il cane e mi si è seduto accanto. Io lo stavo accarezzando così, pensando ai fatti miei. Ad un certo punto gli tenevo la mano fra la spalla e la sua pancina pelosa e… ho sentito il suo respiro e il suo cuore, e allora l’ho guardato. Se ne stava lì tranquillo, fermo, ad annusare gli svariati odori portati nell’aria, e viveva. E l’ho visto non come il mio adorabile cagnetto giocherellone e pazzo di sempre, no, l’ho visto per quello che è: un animale. Ho “sentito” la sua natura. Ho avuto un secondo d’illuminazione in cui ho sentito che le cose che ci sembrano importanti hanno un così scarso valore nell’ordine naturale delle cose da rasentare praticamente lo zero.
Siamo il parto di una madre che ha in sè talmente tante sovrastrutture create artificialmente da non essere più nemmeno vagamente riconoscibile come donna. E siamo talmente tanto attaccati a queste sovrastrutture da non riuscire neanche a godere del bello che l’essere umano è riuscito a creare.
Siamo così abituati a vivere in questa artificialità da non vedere neanche più negli hamburger al supermercato degli animali, qualcosa che era più legato alla natura di quanto noi potremmo ormai forse più essere. Qualcosa che solo per questo non si guadagnava la grazia di essere tolto dalla nostra catena alimentare, quello si sarebbe innaturale, ma il diritto di essere trattato con rispetto quello si, se lo guadagnava tutto.
La consapevolezza di essere in un certo modo ti porta per forza di cose, ad un certo punto, a fare un bilancio di quello che per te è importante.
Poi, da qui ad eliminare quello che non lo è, il passo è breve, ma infinitamente lungo.
Ho vissuto per un anno con la maggior parte della mia roba dentro a scatoloni. Quando ho aperto quegli scatoloni vi ho trovato dentro una serie di cose di cui pensavo sinceramente di non poter fare a meno, disposte con cura per essere tirate fuori per prime. Le scatole le ho richiuse con il loro importantissimo contenuto e verranno presto gettate via. Non ne avevo mai avuto bisogno, solo che non lo sapevo.
Mi chiedo di quante e quali cose ci siamo fatti carico perchè la nostra sovrastrutturata madre ci aveva insegnato a ritenerle fondamentali.
Quanto tempo, spazio, energia e soprattutto denaro ci stanno costando e ci costeranno? La cosa buffa è che crescendo sembra che occupino sempre più spazio, e che costino sempre di più.
Poi lo guardo negli occhi e ho la strana sensazione che quello di cui abbiamo bisogno in realtà sia molto più grande di noi e che anzi ci contenga, che ce lo abbiamo già o che sia a portata di mano, e che… sia gratuito, o quanto meno che abbia un prezzo maledettamente abbordabile!

STO BENE

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La top five delle cinque canzoni rappresentative di questo periodo:

al numero cinque: Help! dei Beatles
al numero quattro: Boulevard of broken dreams dei Green Day
al numero tre: Life for rent di Dido
al numero due: You can’t always get what you want dei Rolling Stones
al primo posto si piazza incontrastata: Like a rolling stone di Bob Dyaln

Avrei voluto metterci roba tipo Fango di Lorenzo o You Learn di Alanis, ma no.
La vita si sa è una montagna russa impazzita di delusioni e successi, di decisioni prese e decisioni evitate, di lacrime e di risate, di ripensamenti e di convinzioni, di incertezze e false sicurezze.
Un continuo frullare di roba di cui quasi mai siamo registi, anzi, di cui siamo inconsapevoli comparse. Una serie di Candid Camera di cui siamo gli sfortunati protagonisti.
C’eravamo una volta noi che si pensava che la nostra vita sarebbe stata diversa da quella degli altri, con tutti il rispetto per le vite degli altri, e poi ci siamo ritrovati esattamente dove credevamo di non trovarci mai, con la tremenda sensazione che non è lì che vogliamo essere.
Non sto parlando di roba tipo che ne so… un tizio che voleva fare l’attore, ma che invece di trovarsi su un palco a ricevere un premio dal suo attore preferito col discorso di ringraziamento già scritto da anni, si ritrova a fare la pubblicità delle Panatine Rovagnati, e si chiede in quale cruciale momento della sua vita ha commesso l’errore fatale, no… niente del genere. Sto parlando di roba molto più semplice e più bassa.
Insomma vi ricordate quando alle 11.00 voi uscivate tutti inghingherati con gli amici mentre i vostri genitori sul divano stavano già per addormentarsi? E voi “Non diventerò mai così”.
E ora a mezzanotte siete già sotto il piumone che inveite contro l’idiota che ha deciso che il giorno deve durare 24 ore, e ve ne fregate della rotazione terrestre e pensate solo a tutt’altri giramenti.
Vi ricordate quando avreste dato l’anima per qualcuno?
Poi la vostra anima è stata buttata nel cesso insieme alla vostra fiducia nel genere umano. E voi :”Non mi lascerò abbattere”. Ma abbattuti lo siete eccome. E alla vostra anima ci avete messo il lucchetto.
Vi è mai successo di vedere qualcuno fare un lavoro e pensare “Col cazzo che lo farei ‘sto lavoro”?
E poi anni dopo ritrovarvi a pensare “Ora capisco perchè faceva quel lavoro”. Lo capite si, lì con la vostra bolletta in mano e il curriculum nell’altra. Lo capite, ma non lo accettate. C’è ancora una scintilla dentro di voi. Strappate il curriculum e la vostra scintilla vi servirà al massimo ad accendere le candele quando vi avranno staccato la luce.
Vi è mai capitato di pensare o di sperimentare che fuori dai confini in cui siete nati esiste qualcosa di meglio?
Eldorado? No… solo… qualcosa di meglio, da scoprire, da provare, e chissà… Mentre tutti intorno a voi continuano a dire che arriva il momento nella vita in cui bisogna mettere radici e accontantarsi e vivere al meglio con quello che si ha. Che belle parole. Putroppo le vostre radici sono così poco profonde che al primo soffio di vento…. andate in terra o volate via?
Andate in terra.
Vi ricordate quando non dovevate pensare a sopravvivere e passavate il tempo a pensare alla vita, all’universo, all’esistenza, all’amore, e non avevate proprio tutte le risposte, ma quasi. E ora l’unica risposta che date a qualsiasi domanda è sempre la stessa: non lo so. Per Socrate sareste voi quelli più saggi. Infatti Socrate era saggio, evidentemente nemmeno lui sapeva.

Quando qualcuno mi chiede come sto, io dico…”sto bene, grazie”.
E per “sto bene, grazie” intendo: “sto come uno degli orchi del Signore degli anelli, brutta e per qualche oscuro motivo incazzata da morire, grazie”.

CARASSIUS AURATUS

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Se voi poteste scegliere di essere un animale, che animale sareste?

Forse… un leone, per essere il più figo di tutti? Un delfino, per sentirsi libero? Un’aquila, per volare?  Un ghepardo, per correre veloce? Una mantide, per staccare la testa al vostro lui? Un bradipo, per non fare un cazzo tutto il giorno?

Io, se potessi scegliere… vorrei essere… un pesce rosso.

Certo, è vero che nella migliore delle ipotesi finirei nello scarico del cesso dopo un paio di giorni… però ecco, lo sapete? Si dice che i pesci rossi abbiano una memoria di pochi secondi. Cioè, la memoria ce l’hanno, ma hanno solo coscienza di quello che è successo prima, non sanno cosa di preciso. E’ vero che questa cosa probabilmente ha anche i suoi lati negativi, però pensate a quelli positivi. Avere la memoria a breve termine di un pesce rosso.

Uno si sveglierebbe la mattina e una ciotola di cereali gli sembrerebbe la cosa più buona del mondo. Al lavoro sarebbe sempre un primo giorno, dove nessuno si aspetta niente da te. Figuratevi uscire di casa e sentirsi in vacanza, come quando esci dall’albergo appena posate le valigie in una città che non conosci. Uno potrebbe anche riguadare il Sesto Senso volendo, perchè se l’hai già visto, rivederlo non ha senso, appunto.  Non sapere niente di quello che è successo ieri, o l’altro ieri o un anno fa. Uno non saprebbe che in televisione c’è il Grande fratello o Maria de Filippi, e anche se lo sapesse, chi se ne frega, tanto se lo scorderebbe dopo 5 minuti. Ascoltare Imagine per la prima volta. Incontrare per strada uno che sapete già essere un benemerito stronzo e pensare che potreste anche diventare amici. O anche innamorarsi ogni mattina della persona che avete accanto. Non ricordarsi delle guerre, delle elezioni e della cellulite. Che liberazione. Assaggiare per la prima volta una torta Sacher, ogni 5 minuti. Se uno è triste, chi se ne importa? Un attimo e te lo sei già scordato. Vedere un tramonto e non pensare che ne hai già visto uno uguale ieri e che tanto ne vedrai uno domani. Una sorpresa ogni minuto. Una cosa nuova ogni secondo. Non me lo immagino. Niente noia. Niente proccupazioni. Solo felicità. Solo novità.

Questa cos’è una di quelle cose tipo: beati gli inconsapevoli? Beh, può darsi. Ci affanniamo tanto a ricordare, ricordare, ricordare. E io sono una di quelle. Se trovo una frase in un libro che mi piace, io me la devo sottolineare, perchè sia mai che me la scordo. Mi ricordo battute di film che ho visto anni fa, e non aspetto altro che una situazione in cui rivendermele come mie, tanto chi se le ricorda? Ho paura di dimenticare cose, perchè sia mai che mi tornino utili. Io devo sapere, devo sapere e ricordare tutto, ma alla fine non sono capace di vivere con i ricordi, quelli pesanti, quelli che accidenti a me, mi sono rimasti impressi. Quindi si, forse beati gli smemorati. Quelli che non sanno di aver fatto qualche cazzata. O che non sanno che qualche cazzata è stata fatta a loro. Beati quelli che selezionano, e scordano il resto. Beati i pesci rossi che non soffrono mai, e che non si annoiano mai. Che non hanno bisogno di stimoli nuovi, ma vivono nella loro ciottolina, perchè non sanno che fuori c’è qualcos’altro. Beati gli inconsapevoli, che non hanno percezione di cosa succede al di là del loro nasino.

Poi ripenso al povero Edward Bloom sdraiato in un letto di ospedale, che si documenta sul comportamento del pesce rosso. E ci dice che “rimane piccolo se tenuto in una vasca piccola, ma se tenuto in un spazio più grande sarà in grado di raddoppiare e anche triplicare le sue dimensioni”. E allora, infondo, un po’ pesce rosso mi ci sento già….

They say goldfish have no memory
Dicono che i pesciolini rossi non abbiano ricordi
i guess their lives are much like mine
credo che le loro vite assomiglino molto alla mia
and the little plastic castle
e il piccolo castello di plastica
is a surprise every time
è ogni giorno una sorpresa
and it’s hard to say if they’re happy
ed è difficile capire se sono felici
but they seem not much to mind
ma sembra che non gliene importi molto

Ani Di Franco *Little plastic castle*

NELLA TANA DEL CONIGLIO

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“Vorresti dirmi che strada devo prendere, per favore?”
“Dipende, in genere, da dove vuoi andare” rispose saggiamente il Gatto.
“Dove, non mi importa molto” disse Alice.
“Allora qualsiasi strada va bene” disse il Gatto.
“… purché arrivi in qualche posto” aggiunse Alice per spiegarsi meglio.
“Per questo puoi stare tranquilla” disse il Gatto “Basta che non ti stanchi di camminare.”

Quando ero bambina ero assolutamente terrorizzata da Alice, il cartone animato intendo, perchè all’epoca ancora non avevo scoperto i libri. Mi ha sempre angosciato. Lo giuro, non riuscivo a guardarlo. Sono consapevole che, come donna, sarei dovuta essere più spaventata da Cenerentola, Biancaneve e il resto del circolo di cucito…ma, non capivo perchè, invece, Alice riusciva a traumatizzarmi anche più dell’omicidio della mamma di Bambi. E la causa non era tutta quella teoria del sesso e della perdita della verginità che aleggia intorno a questo racconto. (figuriamoci, cosa me ne poteva fregare a me??)
Quando, da grande, ho letto il libro…ho capito la ragione di tanta angoscia. Mi spaventava così tanto perchè…intuivo, seppur vagamente, che in quel mondo così indecifrabile ed instabile, dove regnava il disorientamento assoluto…beh, in quel mondo c’era qualcosa di estremamente reale. Quindi sapevo che, in un certo senso, era quello che mi aspettava.
Ci sono persone che in mezzo alla noia generale sono incuriosite da qualcosa e cominciano a seguirla, senza sapere il perchè e il percome. E cominciano a camminare, camminare, cercando di ricordare da dove sono venute. Ma, sorpresa sorpresa, i luoghi da dove sei passata sono cambiati in un momento, o sei cambiata tu? Ci sono persone che si sentiranno sempre della misura sbagliata rispetto al mondo che le circonda. Che piangeranno le proprie lacrime fino a nuotarci dentro. Che avranno la sensazione di essere circondate da pazzi che parlano in modo incomprensibile. Persone che si sentiranno sempre il tempo sfuggire di mano, e quando sembrerà di averlo raggiunto sparirà di nuovo. Persone che soffriranno se viene loro imposto qualcosa che non vogliono fare. Che si sentiranno diverse ad ogni momento che passa. Persone che incessantemente discuteranno con loro stesse. Continuamente distratte e incuriosite da qualcosa. Persone che cambieranno direzione mille e mille volte e che si troveranno sempre perse in un labirinto. Ci sono persone, come me, e come te, che saranno sempre come Alice.
Ma sai una cosa? Adesso non mi fa più paura. Perchè alla fine dei conti, per quanto possa essere una condizione destabilizzante e potenzialmente spaventosa…la preferisco. Non m’importa quanta ansia mi comporta il costante non saper dove andare e i perenni dubbi che mi oscillano sulla testa alla Poe. Lo accetto, consapevole del fatto che le meraviglie…difficilmente sono sulla strada principale. Consapevole del fatto che…errori, scelte, persone, casualità, dubbi, curiosità che capitano nella nostra via…ci porteranno da qualche parte che, magari…non avevamo previsto…Consapevole del fatto che le cose che perdiamo sono sempre dove non le avremmo mai cercate…che le persone che trovano le meraviglie sono proprio quelle che si “perdono in meandri tortuosi e inconcludenti, che finiscono per farti perdere la percezione del tuo punto d’arrivo”.

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