12 Gennaio 2007
Stanotte proprio non riuscivo a dormire. Mi giravo e rigiravo nel letto, chiedendomi per quanto sarei potuta andare avanti prima di perdere i sensi. Giacchè mi trovavo in quell’ingrato limbo che sta fra l’incoscienza e la semicoscienza…la mia mente infame ha pensato bene di approfittarsi di questa mia momentanea vulnerabilità intellettiva per sparare domande e giudizi a tradimento.
Mi sono chiesta…che succede se smettiamo di contare per una persona che invece noi giudichiamo importante? I rapporti sono come degli elastici? Che uno può anche allontanarsi per un po’…ma poi torna comunque indietro?
Ho pensato che è veramente uno schifo vivere in questa città. Che è una città culturalmente morta. Ho pensato che presto quelli della mia età che vivono qui si ritroveranno trentenni e scopriranno che gli unici due posti che ci sono qui non sono più adatti a loro. Che non lo erano infondo mai stati, ma che almeno, nei bei tempi andati potevano andarci senza sentirsi come un telegrafo in un negozio di cellulari ultrapiatti.
Quand’è che il tuo periodo di transizione è diventato la tua vita?
Mi sono chiesta che cosa stessero facendo le persone che conosco in quel momento. Me li sono immaginati tutti, addormentati come neonati. Qualcuno mentre diceva parole senza senso nel sonno. Qualcuno che respirava pesantemente. Qualcuno che mollava ginocchiate a vuoto. Forse qualcuno sveglio. Qualcuna, lontana, che fumava sigarette in cucina, anche lei in preda a pensieri confusi come i miei, solo formulati in un’altra lingua. Mi sono domandata se qualcuno magari stava pensando a me. O magari sognandomi. E mi sono sentita stupida per questo.
E mentre mi giravo su me stessa, con gli occhi assonnati ma il cervello sveglissimo e insistente, ho sentito un vuoto dentro me. E mi sono ricordata perché mi sentivo così. E lo stato di calma apparente che durava da giorni ad un tratto è scomparso. All’improvviso mi è piombata addosso l’importanza di quello che abbiamo fatto. E ho provato a non vedere i tuoi occhi che mi fissavano insistentemente da quella prospettiva inedita. Mi sono voltata di la, proprio come quella sera, ma tu mi hai seguito. E allora ho pianto. E non sapendo come fare ti ho spinto in un angolo inutilizzato del mio cervello. Quello del pensiero logico-razionale.
Poi mi sono accoccolata in posizione fetale e avrei voluto qualcuno vicino a me che mi avesse detto “andrà tutto bene”. Un riparo dalla pioggia. Un camino nel salotto. Un abbraccio. Un sipario rosso e polveroso in una multisala sterilizzata. Calore umano.
Mi sono domandata se in realtà non usiamo l’amore per avere qualcosa a cui aggrapparci. Per sapere che infondo c’è una rete di sicurezza sotto questo filo scivloso e traballante. L’amore come mezzo per non sentirsi totalmente persi. E il sesso come mezzo per non sentirsi incompleti. O per perdere il contatto con se stessi. Il sesso come l’alcool e la droga. Divertente ma potenzialmente mortale.
Poi mi è venuto caldo. Allora mi sono tolta il pigiama. Mi sono sentita sola e stanca.
Mi sono detta che sarebbe stato bello se nella mia testa ci fosse stato lo Start. Spegni computer. Spegni. Un click, salva i dati e buonanotte.
Forse a volte il tasto giusto da premere, per riposarsi un po’, è quello che ti fa perdere il contatto con te. E ognuno ha il suo.